LO SAPEVI CHE…? Ecco perché “a ‘guantarella e’ paste” si chiama così

Esiste una tradizione in Italia, radicata soprattutto nelle regioni del Meridione, a cui è impossibile sottrarsi: ogni domenica il pranzo si chiude con sua maestà la “guantarella di paste”.

Non importa quanto sia stato ricca di portate e lunga la permanenza a tavola (i pranzi domenicali napoletani, in particolare, sono davvero luculliani): ogni commensale avrà sempre ancora un po’ di spazio per il dolce.

Grandi o mignon, le paste sul vassoio posizionato al centro della tavola, appositamente sparecchiata perché il rituale del dolce abbia tutto il suo spazio e la sua importanza, rappresentano un peccato di gola irrinunciabile.

Nelle riunioni familiari ognuno gioca la sua partita: è una corsa ad accaparrarsi il dolce preferito prima che lo scelga qualcun altro.

Ma perché il vassoio di dolci, ovvero il cabaret di paste comunemente detto, viene chiamato “guantiera” o “guantarella”?

La parola “guantiera”, nel dialetto napoletano (una lingua vera e propria, secondo l’Unesco, che l’ha riconosciuta come Patrimonio dell’Umanità) significa vassoio.

Come riportato dal Vocabolario Treccani, il termine guantièra deriva dal sostantivo guanto ed anticamente designava la scatola elegante in cui le dame tenevano i loro preziosi guanti.

Col passar del tempo, il termine ha gradualmente mutato il suo significato, finendo per indicare l’elegante vassoio, tenuto da camerieri con i guanti bianchi, utilizzato per servire dolci e gelati durante i rinfreschi.

Anche Alessandro Manzoni, nel decimo capitolo dei Promessi Sposi, usa questo termine: “Vennero subito gran guantiere colme di dolci che furono presentati prima alla sposina…”.

A noi, però, piace un’altra, forse più fantasiosa, interpretazione del significato della parola “guantiera”.

Nella tradizione degli sposalizi del sud, in Campania specialmente (ancor più precisamente nel casertano), era un passaggio obbligato e benaugurante quello di regalare a tutti gli ospiti un vassoio di un dolce tipico: i “guanti”.

I giorni che precedevano la festa vedevano le massaie impegnate in quella che si potrebbe definire una catena di montaggio ante litteram: c’era chi impastava (olio di gomito!), chi stendeva la pasta, chi la tagliava, chi la friggeva, chi posizionava i dolci sul vassoio.

Infine, partiva la carovana delle consegne. In genere erano i bambini a portare le “guantarelle” fin nelle case di ciascuna delle persone che avrebbero poi partecipato al matrimonio. La fatica di far da “fattorini”, però, fruttava loro un bel gruzzoletto di mance.

Di che cosa si trattava? Di croccanti tagli di pasta, sottili e friabili, grandi quanto una mano e, probabilmente per questo, chiamati “guanti”. Il vassoio che li conteneva, di conseguenza, era la “guantiera”.

La definizione si è poi ingentilita trasformandosi in “guantarella”, che è diventata per estensione il vassoio dorato sul quale, oggi, tutte le pasticcerie posizionano le loro dolcissime creazioni.